Si è tenuto sabato a Varallo Sesia un convegno sulla proposta di unione federale di Liguria e Piemonte in una grande regione a Statuto speciale. Hanno partecipato al dibattito rappresentanti di movimenti e associazioni autonomiste e federaliste di tutto il territorio ligure-piemontese. Il convegno si è aperto con la relazione introduttiva del sanremese Andrea Giribaldi, portavoce del movimento “Obiettivo Nord Ovest”“Ritengo fondamentale l’incontro di tutti i movimenti autonomisti per creare un “laboratorio politico-culturale” di idee e progetti al fine di restituire credibilità alla causa autonomista e federalista all’interno di un serio dibattito politico.Il movimento “Obiettivo Nord Ovest” nasce dall’esigenza di un territorio, quello ligure piemontese, il quale necessità di maggiore autonomia per rilanciare la propria economia, soffocata da decenni d’immobilismo della politica nazionale e soprattutto per restituire dignità ai propri popoli.Per raggiungere questi obiettivi la proposta di unire la Liguria e il Piemonte in un’unica macroregione a statuto speciale assume un significato rilevante.L’unione del nord ovest non è una novità nel dibattito politico: da oltre trent’anni il gruppo “Alpazur” evidenzia la complementarietà tra il territorio marittimo ligure e il retroterra piemontese, promuovendo l’unione amministrativa delle due regioni. Nel 1994 la Fondazione Agnelli, in uno studio sul federalismo applicabile in Italia, ridisegnava i confini delle regioni riducendole da 20 a 12, unendo la Liguria e il Piemonte, riconoscendo l’oggettiva difficoltà che regioni troppo piccole avrebbero nell’essere autosufficienti, nel gestirsi e nel programmare piani di sviluppo funzionali, oltre che il rischio di creare un disequilibrio nei rapporti interni della confederazione stessa.Quest’anno i due presidenti di Liguria e Piemonte, Claudio Burlano e Mercedes Bresso, hanno ripreso il progetto Liguria-Piemonte partendo da un accordo quadro interregionale per la gestione comune d’interventi d’interesse congiunto, in particolare, sui temi della sanità, del turismo e delle infrastrutture. Entrambi i presidenti hanno inoltre auspicato l’ottenimento dello statuto speciale per la macroregione.
I vantaggi economici che deriverebbero da quest’accordo sono molteplici e interesserebbero entrambe le regioni. La nuova macroregione acquisirebbe, inoltre, grande competitività nei mercati internazionali, attraverso le oltre 450 mila imprese ed un Prodotto Interno Lordo di 144 miliardi di euro, rendendola seconda alla sola Lombardia.Analizziamo perché questo progetto è così importante per la causa autonomista e federalista.Innanzitutto occorre chiarire cosa s’ intende per autonomia e per federalismo.Questi termini, a volte, vengono accomunati sotto lo stesso significato e tradotti nel classico slogan “padroni a casa nostra”, un modo un po’ semplicistico di risolvere la questione.Altri, al contrario, contrappongono il concetto di autonomia, al quale legano il significato di “separazione” e “divisione”, al termine federalismo che invece associano al concetto di “unione”.Non condivido questa contrapposizione in quanto ritengo che autonomia e federalismo siano parte integrante dello stesso processo. Se per federalismo intendiamo un patto, o contratto, stipulato da diverse comunità che concedono parte della propria sovranità per mettere in comune alcune competenze, non possiamo prescindere dal considerare due aspetti fondamentali.Il primo è quello di ritenere questo patto o contratto come mutabile nel tempo e riconoscere il naturale diritto di rescindere il contratto stesso (e quindi di secedere dalla federazione), qualora un qualsiasi contraente non ritenesse più vantaggioso l’accordo.Il secondo aspetto è che i rispettivi contraenti, che intendono stipulare il “patto”, devono godere della propria indipendenza. Stipulare un patto federativo tra comunità impossibilitate di "contrattare liberamente", in quanto assoggettate ai vincoli di un organo comune superiore, rappresenterebbe ciò che si può definire "embrione" o “surrogato” di patto federativo, ma che, ovviamente, è ancora lontano dal federalismo che noi tutti auspichiamo di raggiungere. E’ evidente, quindi, l’impossibilità di trasformare uno stato centralista in un vero stato federale, senza prima riconoscere l’autonomia alle comunità che lo compongono e la piena libertà nello stipulare reciproci accordi.Il primo passo deve essere, quindi, l’ottenimento dell’autonomia, da conquistare con una contrattazione ed una forte pressione da esercitare nei confronti dello stato, soprattutto attraverso il consenso popolare.L’attuale classe politica vive e si arricchisce grazie ad un sistema clientelare, assistenziale, autoreferenziale, di cui il centralismo è la madre naturale, motivo per cui non sarà facilmente concessa l’autonomia alle comunità locali.E’, però, innegabile che il “Sistema Italia” è fallimentare: la tassazione è tra le più alte d’Europa, gli enormi “buchi” del debito pubblico e del sistema pensionistico aumentano ogni anno e le spese per la pubblica amministrazione non tendono a diminuire. Di fronte a questi dati, la classe dirigente non intende proporre un forte piano di riforme, necessarie, non tanto per il rilancio, ma per la semplice sopravvivenza economica del Paese. Si aprono quindi scenari nuovi e tutto il movimento autonomista e federalista deve essere pronto nell’esercitare la giusta pressione e nel promuovere ogni azione che possa destabilizzare l’attuale sistema di suddivisione dei poteri, al fine di ottenere l’autonomia finanziaria, legislativa ed amministrativa, unico strumento per recuperare competitività, benessere economico e maggiore efficienza.L’autonomia rappresenterebbe, inoltre, un utile strumento per favorire una riscoperta culturale locale e per riappropriarsi del comune sentimento d’appartenenza a comunità con proprie identità e specificità. L'Italia, infatti, autodefinitasi “Stato nazionale ed unitario”, ha affermato la sua unità con l'oppressione politica e la distruzione delle culture locali, attraverso processi di “italianizzazione”, nel tentativo di omologare culture e lingue diverse, in nome di un’italianità tutta da inventare e costruire.Occorre considerare che le Regioni non sono nate dalla volontà popolare, ma da un atto unilaterale dello Stato che le ha create sulla base di un criterio geografico arbitrario, disegnando a tavolino i limiti territoriali, trascurando ogni principio culturale, etnico e linguistico. Una proposta di ridisegnamento dei confini, che coinvolga i cittadini attraverso strumenti di democrazia diretta, rappresenta, quindi, un passo in avanti nel riconoscimento del diritto di autodeterminazione dei popoli, che, solo sulla carta, è sancito dal diritto internazionale, ma non è effettivamente applicabile, in quanto non è altrettanto riconosciuto il diritto di autodefinizione dei popoli.
Attraverso il riconoscimento e la tutela delle realtà e nazionalità locali, quali i territori Insubri, Brigaschi, Occitani, Franco-provenzali e Walser, la Valsesia e la Val d’Ossola, la nuova macroregione potrebbe essere un esempio di come, applicando il modello federalista, si possono unire popoli e nazionalità differenti riconoscendone l’identità, l’autonomia e la libertà, senza dover necessariamente omologare e distruggere ogni diversità e particolarità.La vicina Svizzera è l’attuale dimostrazione di come il federalismo ha unito comunità diversissime sotto il profilo etnico, linguistico e religioso senza annullarne le specificità.Occorre tradurre tutti questi propositi in concretezza politica, partendo con l’ applicare la riforma del titolo V della costituzione, che permette alle Regioni di ratificare intese per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni (Art. 117) e di unire Regioni esistenti o crearne delle nuove quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse.(Art. 132)
Regola, quest’ultima, importantissima in quanto il riconoscimento e l’applicazione della sovranità popolare sono caratteristiche essenziali di un sistema federale.Contemporaneamente occorre esercitare una forte pressione per ottenere la riforma dell’articolo 116 della costituzione ed aggiungere la Liguria e il Piemonte nelle Regioni a Statuto Speciale.Un patto tra Piemonte e Liguria può assumere, in questo senso, un chiaro e preciso intento politico: unire le forze per aumentare il potere contrattuale nei confronti dello stato centrale.Le possibilità di successo crescono esponenzialmente se si combatte il centralismo da più punti: il consiglio regionale del Veneto, su proposta dei consiglieri di “Progetto Nord Est”, ha già approvato una legge regionale, da sottoporre al parlamento, nella quale chiede lo statuto speciale per il Veneto.In Lombardia, il “Progetto Lombardia” ed il “Fronte Lombardia” hanno iniziato una raccolta di firme per chiedere lo statuto speciale per la propria regione.E’ necessario, inoltre, combattere l’attuale bipolarismo che contrappone destra e sinistra, distogliendo l’attenzione dei cittadini dalla vera ed importante contrapposizione esistente tra le comunità, alle quali non viene riconosciuta la giusta autonomia, e lo stato centrale. Occorre pretendere che, chiunque venga eletto in un territorio, ne rappresenti le istanze, anche se in contrapposizione con la linea nazionale del partito”.
Concludo con una citazione di Gianfranco Miglio: “Con il consenso della gente si può fare di tutto: cambiare il governo, sostituire la bandiera, unirsi ad un altro paese, formarne uno nuovo”.
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